Tuttavia, molte materie prime, spesso in forma grezza o semilavorata, provengono da Paesi extra-UE, così come numerosi mezzi tecnici indispensabili all’attività agricola. È noto ai produttori che gran parte delle molecole utilizzate per antiparassitari sono sotto il controllo di grandi multinazionali della chimica, come Monsanto, Syngenta e altri colossi del settore. Lo stesso vale per fertilizzanti e brevetti di nuove cultivar.
Tali mezzi tecnici, essenziali in molte fasi del ciclo produttivo agricolo, possono incidere fino al 50% sul valore della produzione. Negli ultimi anni, i costi relativi a fertilizzanti, antiparassitari e sementi brevettate hanno subito aumenti anche superiori al triplo, compromettendo seriamente la redditività delle aziende agricole.
Questa dinamica ha determinato un progressivo indebolimento del potere contrattuale delle imprese agricole italiane, rendendole meno competitive sia sul mercato interno che su quello internazionale, dove devono confrontarsi con beni simili o succedanei provenienti da filiere a costi inferiori.
Ulteriore elemento di criticità è rappresentato dal prezzo del grano, attualmente in caduta libera: gli ultimi dati segnalano una flessione del 15%, attestandosi intorno ai 300 euro a tonnellata. A fronte di costi di produzione certificati non inferiori ai 300 euro per tonnellata in annate ordinarie, l’attività risulta economicamente insostenibile, poiché i ricavi non riescono a coprire i costi.
Analizzando la filiera di trasformazione, si evidenzia come da un quintale di grano duro si possa ottenere un equivalente in pane dal valore di mercato pari a circa 300 euro. Il valore aggiunto in questo passaggio supera i 270 euro. Analogo discorso vale per tutti i prodotti da forno, inclusa la pasta, realizzata per il 70% con grano nazionale e per il restante 30% con grano importato. Di questa produzione, oltre il 30% è destinato all’export.
Da questi dati emerge una conclusione evidente: l’attuale sistema di import-export favorisce le fasi della trasformazione, commercializzazione e – talvolta – della speculazione, a discapito della produzione agricola interna, ovvero del comparto primario nazionale. L’introduzione di dazi, inoltre, rischierebbe di colpire duramente proprio le aziende agricole, aggravandone la già precaria situazione, mentre avrebbe effetti decisamente più contenuti sul settore della trasformazione, protetto da accordi bilaterali con i Paesi esportatori di materie prime.
È quindi inevitabile affermare che il futuro dell’agricoltura italiana – e in particolare di quella meridionale – dipenda da una politica dei prezzi più equa, da una razionalizzazione dei costi sia esogeni che endogeni alle aziende agricole, e da un rinnovato equilibrio nei rapporti tra produttori agricoli e industria della trasformazione.
Fondamentale sarà anche il recupero di un legame virtuoso tra produttori e consumatori, riconoscendo il valore sociale e strategico dell’intera filiera agroalimentare, che deve perseguire l’interesse collettivo, anziché piegarsi esclusivamente a logiche speculative.
Così con una nota Tavolo Verde Puglia e Basilicata