Domenica, 22 Dicembre 2024

L'artista biologa Angela Bellini trasforma in dipinti i neuroblastoma

Venerdì, 01 Dicembre 2023

Angela Bellini, 39enne di Pisticci vive e lavora a Parigi ed è un ingegnere di ricerca all’Istituto Curie, centro tra i più rinomati al mondo. I suoi quadri sono esposti anche negli ospedali e nei centri di ricerca.

Ma che bello questo neuroblastoma: peccato non tutti possano vederlo». C’è chi nella vita si innamora delle cellule e chi… non mente.

Angela Bellini, trentanovenne pisticcese, a Parigi è ingegnere di ricerca presso l’Istituto Curie, uno dei maggiori centri di ricerca medica, biologica e biofisica internazionali. È qui che si occupa dello studio del cancro pediatrico e le cellule di cui si “innamora” sono tumorali nonché l’oggetto della sua ricerca da otto anni. E della sua Arte. Ma ci arriviamo.

Studia al Curie il neuroblastoma, tumore maligno che ha origine dai neuroblasti, cellule del sistema nervoso simpatico. Tra i vari cancri pediatrici, il neuroblastoma è il tumore extracranico solido più frequente nei bambini in età prescolare. E l’equipe di Angela classifica i vari neuroblastomi tra alto e basso rischio, letali e curabili, e testa l’efficacia dei vari farmaci sulla proliferazione dei neuroblastomi e la resistenza delle cellule tumorali più aggressive all’azione di questi farmaci.

A Parigi dal 2008 «per i nove mesi dell’Erasmus», Angela da qui, di fatto, non se n’è mai andata. Non fosse che per la breve esperienza che la vede «nanny» a Londra, tanto quanto basta per capire che la sua vita era a Parigi nella Ricerca. Tornata nella «Ville Lumière», entra subito nel gruppo di lavoro di quella che è la sua attuale team leader al Curie.

E nel bel mezzo del lavoro, esaminando i vetrini…: «Mi sono detta: “Ma quanto sono belle queste cellule, peccato che gli altri non possano osservarle».

Le cellule, già, queste sconosciute. Normalmente trasparenti agli occhi di chi le analizza, per essere studiate vengono “cromaticamente sollecitate” in laboratorio perché si palesino. Ed è esattamente “questa intuizione dopo” che Angela prende i suoi pennelli per trasformare quella scientifica evidenza (il vetrino del microscopio) in Arte, diventando da questo momento “l’artiste biologiste.

Ma artisti (e tanto meno biologi) non ci si improvvisa: «Ho sempre amato l’Arte, finché alla fine del Classico, indecisa tra Architettura e Biologia, ha prevalso la seconda». Abbandonati i pennelli per la Scienza, saranno questi a ritrovare la strada quando Angela inizia a lavorare al Curie: «I miei dipinti iniziarono a riscuotere successo tra gli amici ed iniziai così a proporli a mostre e saloni».

Oggi la serie che rappresenta le cellule tumorali è esposta anche negli ospedali e nei centri di ricerca contro il cancro: «I visitatori sono sempre molto incuriositi dai quadri ed io, fornendo spiegazioni su di essi, ho modo di farli avvicinare alla Ricerca e di sensibilizzarli sul tema dei tumori pediatrici. Ma non sempre sono disposti ad acquistare le mie opere perché il tumore, per quanto artisticamente attraente, resta comunque aggressivo e spesso mortale. E non sempre si è disposti ad accoglierlo in casa», pur in olio su tela.

Ma in qualche suo dipinto, Angela, c’è anche l’Odi et Amo di Catullo. E la domanda non è perché tu non abbia scelto lo Scientifico, ma quanto al Classico tu riconosca l’eventuale plus nella tua formazione.

«Il “mio” Classico era sperimentale, con tanta matematica, biologia, ma anche storia dell’arte».

Oggi, il suo Dna, di cosa è fatto: Ricerca o Arte?

«Un dilemma, questo, sul quale mi sono a lungo soffermata. Oggi le dico: “Ricerca”, indubbiamente, ma nella mano oltre alla pipetta ci sarà sempre spazio per un pennello».

Attraverso l’Arte passa di fatto anche la sua integrazione a Parigi. Come sono i Parigini?

«Tanto eleganti, soprattutto le donne, nel vestire e nel parlare. Ma anche tanto snob e molto difficili: integrarsi, a Parigi, è cosa impegnativa».

Essere italiani a Parigi: i difetti che ci riconoscono?

«Ci chiamano “voleurs”, per loro siamo dei ladri: se dal laboratorio sparisce qualcosa, ad esempio, è colpa dell’italiana del team. Ovviamente esagerano, ma io ne approfitto per fare qualche scherzo e far sparire qualcosa di tanto in tanto.

Dicono, inoltre, che parliamo ad alta voce e che abbiamo anche il difetto di gesticolare sempre».

Avremo anche dei pregi?

«La musicalità della nostra lingua, il suo ritmo e ovviamente la nostra cucina».

Parigi sensoriale: descriviamola così.

«Sarebbe di velluto, se fosse tatto; se fosse gusto, un croissant appena uscito dal forno: ho una boulangerie sotto casa e aprire le finestre al mattino e godere dell’odore del croissant è un vero piacere».

E Pisticci?

«Ah, che volo! Se fosse un piatto, la pasta fatta in casa della mia mamma. Un odore? Di terra, un pò ferroso. Un suono? Quello delle rondini, che mi accompagna sin dall’infanzia».

La parola francese che ama?

«Topinambour, una delle poche facili da pronunciare, senza suoni “strani” francesi, difficilmente riproducibili e che ti identificano subito come non francese».

Quella italiana, invece?

«Grazie: nel mio paesino purtroppo si usa poco, a Parigi di frequente: cosa che apprezzo ed imparo da loro».

Articolo di Alba Gallo, pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno

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