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Nell’ambito del Corso di Alta Formazione in Responsabilità Medica, venerdì 13 maggio, si è tenuta una “scoppiettante” lezione con il Presidente della Corte di Cassazione, sezione terza, Giacomo Travaglino, e il Direttore del Dipartimento Giuridico, prof. Giuseppe Cassano.
L’occasione è stata quella di ripercorre la storia, fra aneddoti e retroscena, della responsabilità medica e dei danni non patrimoniali [il presidente è estensore di notissime sentenze, a partire dalla n. 10490/2006 (in tema di causa negoziale cd. “concreta”), n. 21619/2007 (in tema di nesso causale nella responsabilità sanitaria), n. 20585/2012 (in tema di danni non patrimoniali), n. 16754 (in tema di risarcimento iure proprio del minore malformato)], e il professore, da ultimo, è curatore di un testo sul Danno alla persona, con la premessa di Piero Schlesinger, per i tipi Giuffré
Per il prof. Cassano occorre:
1. l’esatta identificazione di una tavola di “valori/interessi” costituzionalmente protetti e degni di risarcimento;
2. l’altrettanto rigorosa individuazione di regole probatorie il più possibile certe, funzionali al riconoscimento di un diritto al risarcimento del danno esistenziale inteso come vulnus alla dimensione relazionale della vita del soggetto;
La lezione così si è così conclusa da parte del presidente Travaglino … < Il danno biologico cessa così di essere il titano apparentemente invincibile (ma alfine sconfitto da Zeus) corazzato di tabelle, numeri, eguaglianze, proporzioni, equazioni, algoritmi. Una rozza teofania che aveva trasformato la medicalizzazione del dolore in sonno antropologico del pensiero. È così che il danno biologico non rettamente inteso, anziché arricchire l’interpretazione della sofferenza, la inaridisce. E pretende di esaurirla in sé. E questa è stata, per troppo tempo, la lenta evanescenza non soltanto del rigore ermeneutico – che mai dovrebbe abbandonare la mente del giurista –, ma della stessa logica del senso del reale. Del senso della sofferenza come “verità” del diritto. Ma non è stata irredimibile l’anossia di una categoria del pensiero – la persona, il dolore, il dolore della persona –, ancora prima che della logica dell’etica del diritto mite, anche quando tutto parve collassare in una oscura regione di furente panbiologismo. Il biologismo del “medicalmente accertabile”. Trionfava Zoé, tramontava Bìos, si dissolveva Psuché. La lesione biologica si fa danno zoologico. Ma il danno alla persona è tante volte, troppe volte, probabilmente sempre, sofferenza umana. Talvolta indicibile, troppe volte non accertabile. Mentre la persona sofferente diviene a volte spettro di sé stessa, compito del giudice è trasformare quella sofferenza in denaro. Armato del coraggio della viltà. La comprensione giuridica della sofferenza esige un atto di coraggio e di viltà. Il coraggio insostenibile dell’immaginazione, il coraggio di immaginarsi al posto di chi soffre. La viltà miserabile di trasformare le lacrime in monete d’oro. È questo il coraggio vile del giudice. Perché il vero risarcimento della sofferenza è la vendetta. O il perdono>.
Il prossimo appuntamento, con i due relatori, è il 10 giugno.