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Oggi si riunisce a Potenza il tavolo di crisi chiesto dai sindaci della Valbasento, Lisanti in primis, e dai sindacati per trattare la brutta vicenda dello stabilimento Coopbox, da quasi 40 anni a Ferrandina, per il quale è stata annunciata la chiusura ed il licenziamento di una quarantina di dipendenti.
La scorsa settimana ho incontrato i lavoratori in presidio davanti alla fabbrica per portare loro la mia solidarietà e quella di tutto il Pd con a capo il neo segretario regionale La Regina e subito dopo, insieme ai Sindaci di Ferrandina, Miglionico, Pomarico e Pisticci, ho incontrato il rappresentante dell'azienda che comunicava la volontà di avviare la procedura di licenziamento collettivo.
Un brutto colpo.
Siamo riusciti, grazie a quell'incontro nel municipio di Ferrandina, a convincere la nuova proprietà dell'azienda a sedersi ad un tavolo regionale. Un piccolissimo spiraglio nel buio assoluto.
In questi giorni c'è stato anche l'appello, opportuno, del Vescovo di Matera-Irsina, Mons. Caiazzo.
Mi occupai di Coopbox circa cinque anni fa allorquando l'allora proprietà, il gruppo CCPL, voleva fare la stessa cosa. Grazie al sacrificio dei lavoratori, e dietro l'impegno dell'azienda di effettuare nuovi investimenti, scongiurando il peggio. Quegli investimenti non ci sono mai stati.
Per noi lucani Coopbox vale quanto per i campani la vicenda Whirlpool, tanto per capirci. L'impatto è proporzionalmente identico ed emblematico.
Circa tre mesi fa CCPL ha venduto Coopbox al gruppo Happy di Cremona. Ha venduto sia lo stabilimento di Ferrandina che quello di Bibbiano, acquisendo così le relative quote di mercato. Coopbox a Ferrandina produce circa 180 milioni di vassoi in plastica, quelli che troviamo ai supermercati nei reparti frutta o macelleria, per intenderci.
Ebbene, dopo soli tre mesi dall'acquisto di Coopbox, Happy vuol chiudere Ferrandina per spostare la produzione a Bibbiano.
Il motivo risiede negli eccessivi costi di produzione rispetto al mercato meridionale (dal Lazio in giù). Tradotto, significa che il mercato meridionale sarà servito direttamente da Bibbiano. Tradotto ancora, ed è la ragione per cui il caso Coopbox diventa paradigma per tutto il Mezzogiorno, significa che per le imprese il Sud è solo mercato da conquistare, cittadini consumatori da spremere, luogo pizza, sole e mandolino che deve vivere di assitenzialismo che può chiamarsi reddito di cittadinanza, o reddito di emergenza, di pensioni, di agricoltura e tuttalpiù di pubblico impiego, giammai luogo di fabbriche e di produzione di beni e servizi perché troppo lontani dal cuore dell'Europa.
E se penso al tema della transizione ecologica ed energetica, che porta con sé una fase di incertezze per tantissime aziende (ed anche qui il caso Bosch in Puglia è emblematico) Stellantis in primis, c'è veramente da preoccuparsi.
Penso che a questa descrizione ed a questo destino si debba reagire con forza.
Anche con la protesta, se necessaria. Ma anche con una pianificazione dello sviluppo industriale attraverso politiche di incentivazione, ma soprattutto investendo in cultura d'impresa. Si, perché è dimostrato che l'impresa locale non abbandona il proprio territorio, mentre chi viene da fuori ha meno scrupoli nel farlo.
Ora, come dicevo, va scongiurata la chiusura di Coopbox anche attraverso una riconversione della produzione che sia conveniente per il gruppo Happy. Per questo confido nella sagacia dell'assessore Cupparo con il quale ho interloquito nei giorni scorsi. E confido nelle rappresentanze sindacali ed istituzionali, oltre che nella forza della disperazione dei lavoratori, perché uno storico presidio della Valbasento non cessi di vivere, ma rappresenti un punto di ripartenza delle politiche industriali della Basilicata. ZES, retroporto di Taranto, zona franca doganale, PNRR sono tutti strumenti validi per la ripartenza.