Giovedì, 28 Novembre 2024

Incontro dell’arcivescovo con giornalisti e operatori informazione in occasione della 57esima giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Martedì, 24 Gennaio 2023

Carissimi,

intanto grazie perché ci siete e stasera siete qui, nonostante l’orario. Esserci è importante. Significa amare quanto si fa, mettendosi continuamente in ascolto della storia, in particolare di quella del nostro territorio, della nostra Provincia, della nostra Regione. Siete una presenza significativa che ci aiuta a crescere e ci permette di costruire relazioni umane fondate sulla reciprocità dell’incontro. Anche una conferenza stampa diventa un’opportunità per ascoltarci al fine di rendere un servizio calato nella realtà e utile all’intera collettività.

In una intervista di qualche anno fa, fatta da Giovanni Nardi, pubblicata sulla rivista DOC, al giornalista Tiziano Terzani  (Firenze, 14 settembre 1938Pistoia, 28 luglio 2004)  alla domanda se il giornalismo fosse un mestiere come tanti, o un'altra cosa, rispoSe:

Non è un semplice mestiere, non un modo di guadagnarsi da vivere, ma qualcosa di più, che ha una grande dignità e una grande bellezza, perché è consacrato alla ricerca della verità. Ecco il suo valore morale, avvertibile nel modo di raccontare, nel presentare i fatti. Certo la scuola, anche una scuola ad hoc, aiuta, ma è propedeutica, perché nessuna scuola potrà mai insegnarti la missione, non ti dà quella cosa in più di cui hai bisogno: la vocazione. E certe scuole di giornalismo mi hanno fatto l'impressione di essere frequentate da seminaristi senza vocazione. Se uno fa il meccanico e lo fa bene, nulla da dire; ma se uno fa il prete, per farlo bene deve avere qualcosa in più. E il giornalista è come il prete: deve avere la chiamata, la vocazione, sentire la missione”.

Nei suoi messaggi annuali Papa Francesco ci sta conducendo a riscoprire quanto siano fondamentali nei rapporti umani, e quindi nella comunicazione, i nostri sensi. E’ importante toccare, vedere, rendersi conto personalmente, in cerca della verità che aiuta ad essere veramente liberi. Verità che ci consente di aiutare gli altri perché godano della stessa libertà.

Quest’anno il Papa insiste sull’importanza del parlare con il cuore secondo verità nella carità, a completamento del messaggio dello scorso anno dell’ascolto con l’orecchio del cuore. Da quando sono stato ordinato sacerdote (ormai mi avvio verso i 42 anni) è cresciuta dentro di me la consapevolezza che ogni generazione ha bisogno di essere ascoltata. C’è bisogno di tempo, andando oltre i luoghi convenzionali.

Per ascoltare e parlare con il cuore bisogna fermarsi, stare accanto, non sottovalutare alcuna percezione. Significa catturare in ogni linguaggio quel bisogno di vita, di amore, di pace che a volte si nasconde dietro un dire aggressivo, apatico, dispettoso e forse anche maleducato. Penso ad esempio cosa vogliano dirci i giovani attraverso la musica, i graffiti, le marce per difendere il creato, il desiderio di pace.

La crisi che stiamo vivendo risiede nella mancanza di ascolto, a partire dai luoghi intimi quali le nostre case. La famiglia ne soffre, si frantuma, si divide. Ognuno prende la sua strada, ha i suoi orari, la sua privacy.

Si sente ma non si ascolta, per cui non si parla. Non si ha tempo per la moglie, per il marito, per i figli, per i genitori. Le conseguenze sono note a tutti. La stessa cosa succede nella politica, a volte anche nella Chiesa. Le proprie ragioni diventano più importanti del bene di tutti.

Ascoltare e parlare con il cuore significa rientrare in se stessi, ritornare al principio di vita. Per noi credenti implica il rapporto dialogico tra Dio e l’umanità. Umanità che da sempre viene richiamata da Dio. Dio cerca Adamo, dopo l’esperienza del fallimento di affermare se stesso, e gli chiede: “Dove sei?”. Anche oggi ci cerca e ci chiede la stessa cosa.

Chi ha dimestichezza con la Sacra Scrittura sa che i comandamenti di Dio sono introdotti da questa espressione: «Shema’ Israel - Ascolta, Israele» (Dt 6,4). Il popolo d’Israele ripete continuamente a se stesso questa espressione. Noi cristiani diciamo: “mettiamoci in ascolto della Parola di Dio”.

Nei momenti difficili della vita, di smarrimento, di dolore, di malattia, della morte che bussa alle nostre case, siamo noi che spesso diciamo a Dio: “Dove sei?”, oppure “dov’eri?”. Percepiamo che tra l’umano e il divino si è venuto a spezzare quel dialogo che nasce dall’ascolto. Eppure Dio c’è sempre e continua a condividere la nostra condizione umana, riempiendo di senso ogni momento della vita: concepimento, nascita, crescita, gioie e sofferenze, persino la morte. Il divino si cala nell’umano perché questi si immerga nel divino.

C’è una frase che, tuttavia, Gesù dice ai suoi discepoli sulla qualità dell’ascolto: «Fate attenzione dunque a come ascoltate» (Lc 8,18). C’è un ulteriore passaggio, dal sentire all’ascoltare, ora dall’ascoltare al come ascoltare. Per dirla con S. Agostino dovremmo dire a noi stessi che oggi c’è bisogno non tanto di avere il cuore nelle orecchie ma le orecchie nel cuore (Sermo 380, 1: Nuova Biblioteca Agostiniana 34, 568).

Dall’ascolto personale, interiore, nasce il bisogno di un ascolto che si dilata, abbraccia e accoglie la verità insita negli altri con le loro ricchezze e povertà. Intercettare l’altro significa entrare in relazione e aprirsi all’Assoluto che è Dio. Significa parlare il linguaggio della verità e della carità.

La povertà più triste alla quale assistiamo oggi è quella sposata da un certo tipo di comunicazione e informazione che non ha una adeguata conoscenza delle persone e dei fatti. Spesso e volentieri la denigrazione che troviamo nell’uso sconsiderato dei social nasce da pregiudizi, antipatie, sentito dire. S. Francesco di Sales portava un esempio sempre attuale sul modo di riportare le notizie. Affermava quanto fosse importante imparare dalle api per fare bene il proprio lavoro. Al contrario delle api, le vespe succhiano il nettare dai fiori che non trasformano in miele ma in veleno. La sua riflessione porta a suggerimenti concreti nell’uso delle parole: utilizzare “meno aceto e più miele”, “meditando prima per sé quello che si vuole dire agli altri”. La verità, per S. Francesco, sta al centro di tutto, va riportata con umiltà e semplicità, evitando la tentazione dell’arroganza “per rendere poi reali e amabili le cose che dici”. A conclusione del suo ragionamento fa un invito ben preciso: “Sintesi, acutezza, espressività fanno vibrare le cose che dici, perché quello che tu dici entrerà veramente nel cuore dell’altro, solo se esce prima dal tuo cuore!”.

Solo dall’ascolto può nascere un sano dialogo. E questo richiede tre virtù fondamentali: pazienza, pazienza, pazienza! Quanti pregiudizi bisogna vincere! Quanti volti di persone bisogna scoprire! Quante storie raccontare ma solo dopo aver ascoltato!

Carissimi, mentre vi ringrazio per il complicato ma prezioso servizio che rendete attraverso una sana informazione, vi assicuro la mia preghiera e benedizione, affinchè quanto ci comunicate sia frutto di un ascolto serio, sincero, sofferto.

✠ Don Pino

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