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Un’ala di folla ha atteso ieri davanti al Palasassi a Matera l’arrivo delle salme di Nicola Lasalata e Giuseppe Martino, i due Vigili del Fuoco morti il 17 luglio scorso a Nova Siri mentre cercavano di salvare una famiglia in pericolo per un incendio.
All’ingresso del Palasassi, dove si è celebrato il funerale, un lungo, commosso applauso.
Le bare, caricate su un’autoscala, sono state portate a spalle dai Vigili del Fuoco fin davanti all’altare allestito nella palestra.
Ha celebrato l’arcivescovo di Matera, mons. Giuseppe Antonio Caiazzo.
Ai funerali hanno partecipato il Sottosegretario all’Interno, Emanuele Prisco; il capo Dipartimento dei Vigili del fuoco, prefetto Renato Franceschelli; il capo del Corpo nazionale, Carlo Dall’Oppio; il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, e numerosi amministratori locali, 50 allievi del 99/o corso dei Vigili del fuoco e delegazioni del Corpo provenienti anche da altre regioni d’Italia. Ieri è stata una giornata di lutto cittadino a Matera, a Policoro e a Nova Siri.
L’omelia di mons. Caiazzo
Carissimi,
stiamo vivendo ore difficili, tristi, il buio sembra prevalere sulla luce, il caldo che ci opprime sembra tramutarsi in freddo e rabbia. Ore durante le quali ognuno avverte il bisogno di silenzio più che di parole, tanto meno quelle di circostanza. Il nostro convenire oggi, così numeroso, suona l’unica nota di un dolore unanime che si esprime esattamente nel silenzio.
Quante domande, quanti perché, nella maggior parte dei casi, come ci siamo detti ieri pomeriggio durante il momento di preghiera alla camera ardente, non trovano risposta. La nostra stessa vicinanza, a voi carissimi familiari tutti, di Giuseppe e Nicola, a voi amici e fratelli che fate parte del Corpo dei Vigili del Fuoco, per quanto partecipe, non aiuta ad alzare lo sguardo per ritrovare anche un minimo di pace interiore.
Eppure in questo clima così straziante e inumano, quasi surreale, se siamo qui, è perché, di fronte all’ingiustizia di queste morti, cerchiamo una Parola capace di rompere l’amaro silenzio. In questa nostra vita è difficile rassegnarci al male, tanto più al dolore di una morte ingiusta.
E mentre ognuno di noi, soprattutto voi familiari e colleghi di Giuseppe e Nicola, avverte di avere un macigno sul cuore, come quello della Madonna ai piedi della Croce, e sente una spada trafiggerle l’anima, anche in questo momento ognuno di noi rincorre la speranza. Quella stessa speranza che ha spinto i nostri giovani papà ad attivarsi prontamente per salvare altre vite. Perché educati ad amare e salvare ogni vita facendosi carico della fatica, del dolore e della disperazione di ogni persona, pur di salvarla.
Quante volte voi tutti amici del Corpo dei Vigili del Fuoco avete ripetuto questa preghiera:
“Quando l’incendio, irresistibile avvampa,
bruci il male che si annida nelle case degli uomini,
non la ricchezza che accresce la potenza della Patria.
Signore, siamo i portatori della Tua croce,
e il rischio è il nostro pane quotidiano.
Un giorno senza rischio non è vissuto,
poichè per noi credenti la morte è vita,
è luce: nel terrore dei crolli,
nel furore delle acque,
nell’inferno dei roghi.
La nostra vita è il fuoco,
la nostra fede è Dio”.
Come credenti in Cristo morto e risorto, sentiamo di dover condividere quest’assurda tragedia che ha toccato i cuori di Matera e Nova Siri, con la Basilicata e l’Italia intera. Mai come in questo momento risuonano vere le parole di Gesù: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà» (Lc 9,23-26).
L’agire di un vigile del fuoco è sempre a favore della vita e della necessità dei fratelli di essere protetti e riparati da danni irreversibili a case e animali. È in questa prospettiva che rischio, gestione della paura, fatica, indomito coraggio e determinazione sono nel DNA di un vigile del fuoco insieme ad un cuore che pulsa di altruismo, come i cuori di Nicola e Giuseppe.
Anche in voi, carissimi fratelli Vigili del Fuoco, legittima è la rabbia di fronte all’inimmaginabile che vi trovate ad affrontare: devastazioni a causa di alluvioni, di incendi, di macerie varie che mortificano l’intera umanità. Chi le procura? Sono forse la causa di errori, di imprudenze, di scelte scellerate fatte da uomini senza anima e senza Dio? Ecco perché siamo invitati a trovare le cause di tutto il male e della sofferenza che ci attanaglia, per lavorare e prevenire le conseguenze.
Il comandamento dell’amore di Gesù sembra assolutamente superiore alle forze umane, un’impresa impossibile. Eppure noi sappiamo che l’amore di Cristo per gli uomini non ha fine: Egli ha amato fino alla fine (Gv 13, 1), cioè ha amato consegnandosi completamente fino alla morte per i suoi: “non c’è Amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13).
Ciò che ai nostri occhi sembra assurdo, l’insegnamento di Gesù di dare la vita, ha stravolto la storia, perché l’amore non è più una bella parola, un gesto di benevolenza, ma un agire colmo di umanità: consumarsi pienamente fino alla morte.
Questo significa che le porte dell’amore sono state aperte da Cristo. In Lui e con Lui, per quella forza sacramentale infusa loro in virtù del Battesimo, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, Nicola e Giuseppe hanno dato la vita rimanendo ad esso fedeli, ma anche per una divisa che ha significato amore, fedeltà e servizio. E quanto sapremo fare noi, in termini di amore, dopo che i riflettori su questa storia si saranno spenti, darà ancora più valore ed esemplarità alle loro morti. In questo momento di grande dolore e silenzio l’Amore ci attende in quello che saremo capaci di dare.
Pensiamoci bene. Gesù si presenta a noi come un modello di fragilità perché si è fatto come noi condividendo tutta la fatica umana, le gioie come i dolori, la sofferenza e la morte. In questa fragilità anche lui ha avvertito la necessità del calore di una famiglia, della vicinanza di amici e degli apostoli, e nel momento estremo della sofferenza dell’aiuto del Cireneo per portare la croce.
Ma la sua fragilità la cogliamo soprattutto quando piange per la morte dell’amico Lazzaro. Le sue lacrime si uniscono alle nostre, perché anche Lui soffre ogni qual volta la vita viene segnata dalla morte. Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, dicono a Gesù quanto noi diciamo a Lui in questo momento: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Ognuno di noi potrebbe dire: Mio figlio, mio marito, mio padre, mio fratello, mio nipote, i miei colleghi, i miei amici…non sarebbero morti. Dove eri? Già: dov’era Dio? E Dio era lì, presente sempre, era il figlio, il marito, il padre, il fratello, era chi moriva in quel momento nuovamente crocifisso da malvagità o incuria di altri uomini.
Gesù, a noi come a Marta e Maria, dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. Questo significa che non ci accontenteremo di tenere viva la memoria di Giuseppe e Nicola, perché qualsiasi ricordo non ce li riporta in vita. Nel tempo, solo se li vedremo nell’amore di Gesù Cristo, li sentiremo ancora vivi. Più rimarremo uniti a Lui che è la risurrezione e la vita e più sperimenteremo cosa è la vittoria pasquale di Gesù sulla morte. Questa vittoria renderà viva la loro presenza in mezzo a noi, anzi c’è di più: in forza di questo amore rimarrà viva la relazione tra noi e loro.
A voi, figli, vittime innocenti di un grande amore del quale siete stati privati, dico: i vostri papà saranno sempre per voi non solo eroi, ma seminatori di un amore grande che nel tempo porterà frutto. Sta a voi, a noi, saper raccogliere quanto è stato da loro seminato per continuare a seminare vita in un tempo in cui la vita è disprezzata, flagellata, uccisa. Siate fieri ed orgogliosi di essere figli di papà che hanno dato la vita per aiutare ognuno di noi a vivere una vita migliore.
A noi tutti, autorità religiose, civili, militari, fedeli tutti, credenti e non, dico che non è più il tempo della pacca sulle spalle. Urgono scelte coraggiose per il bene di questa nostra amata terra, dell’umanità intera; urge, davanti la tragica fine dei nostri fratelli, una nuova parresia che ci liberi da tante false certezze e ci spinga ad un sano e sincero discernimento; urge il coraggio di dire a noi stessi che il vero degrado abita i nostri cuori e la sua pseudocultura sta uccidendo la cultura che chiama la vita e la promuove nella salvaguardia del creato; urge una mentalità e uno stile di vita capaci di vincere l’aridità e il deserto dell’anima. Solo così non saranno vane le morti di Giuseppe e Nicola che oggi chiedono a noi, i vivi, senso di responsabilità e fratellanza perché non siano immolate nuove vittime sacrificali.
Il fuoco brucia e distrugge ogni cosa procurando la morte, ma il fuoco riscalda e dà vita se saremo capaci di lavorare insieme con un unico intento: il bene di tutti. Ammainiamo le bandiere divisive e facciamo sventolare quella della fraternità, dell’amore che mette insieme tutti i colori e forma un unico cuore che batte forte per ogni vita.
La Madonna della Bruna, alla quale Nicola e Giuseppe, erano particolarmente devoti, aiuti voi familiari che siete come Lei ai piedi della Croce, nell’impotenza del momento presente, a trovare la forza e il coraggio necessari. A Lei, Madre del dolore, vi affido e vi benedico. S. Barbara preghi per voi e con voi. Amen.