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“L’obiettivo che si è data l’Unione Europea due anni fa è ambizioso, al limite dell’utopia: raggiungere nel 2050 le «zero vittime» per incidenti stradali.
Il traguardo è ancora lontanissimo, non solo in Italia.
Nel 2021, anno ancora anomalo dopo il 2020 segnato dal lockdown, nel nostro Paese sono morte 2.875 persone, 204.728 i feriti, 151.875 gli incidenti con lesioni. Una strage.
Di fatto si è tornati ai livelli del 2019, l’ultimo pre-pandemia.
Un bilancio fatto di luci e di ombre.
Negli ultimi vent’anni i numeri indicano una costante diminuzione (nel 2001 le vittime erano state 7.096, dieci anni dopo 3.860), ma il calo è rallentato dopo un primo decennio che aveva fatto ben sperare.
«In particolare nelle grandi città la priorità è la protezione degli utenti vulnerabili, motociclisti, ciclisti e pedoni.
In oltre il 50% dei casi almeno uno degli utenti convolti appartiene a queste categorie, ed è evidente che è quello che ha la peggio» spiega Luca Studer, responsabile del Laboratorio mobilità e trasporti del Politecnico di Milano e titolare del corso di Circolazione e sicurezza stradale.
Secondo l’ultimo rapporto Istat, nel 2021 le vittime tra i motociclisti sono state 695, 471 tra i pedoni, 67 i ciclomotoristi, 229 tra ciclisti e utilizzatori di monopattini elettrici.
Il numero maggiore in assoluto (1.192) tra gli occupanti di autovetture, 169 invece i deceduti sui mezzi pesanti (l’unica categoria che segna una crescita rispetto al 2019).
Le vittime sono più uomini (l’83,3%) che donne (16,7%), soprattutto nelle fasce d’età 45-59 e 20-24 tra i primi, 70-84 e 20-24 tra le seconde.
Colpisce il numero dei bambini o adolescenti: l’anno scorso hanno perso la vita 28 minori sotto i 14 anni, 146 tra i 15 e i 19 anni.
Anche tra i feriti, un terzo (30,3%) riguarda giovani tra i 15 e 29 anni, con un calo negli anni più contenuto rispetto ad altre classi d’età.
La maggior parte degli incidenti avviene sulle strade urbane (73,1%), mentre il maggior numero di morti si registra in quelle extraurbane (47,5%); sulle autostrade il 5% dei sinistri e l’8,6% dei decessi.
L’Italia si pone un po’ sopra la media europea riguardo al tasso di mortalità (vittime per milione di abitanti): 48,5 rispetto a 44,7 dei 27 paesi Ue.
I più virtuosi sono Malta e Svezia, in coda Bulgaria e Romania.
Se si prendono in considerazione le cause, quasi 4 incidenti su 10 sono provocati da distrazione, mancato rispetto della precedenza o velocità troppo elevata.
E ancora: una manovra irregolare, il mancato rispetto della distanza di sicurezza, la mancata precedenza al pedone, oppure il suo comportamento scorretto (2,7% dei casi).
Una quota rilevante, in base ai rapporti di carabinieri e polizia, è rappresentata da casi in cui almeno uno dei conducenti dei veicoli coinvolti aveva bevuto (9,7%) o addirittura assunto stupefacenti (3,2%).
Analizzando i dati per regione, nel 2021 sono 12 quelle che si collocano sopra la media nazionale per tasso di mortalità (4,9 morti ogni 100 mila abitanti): i valori peggiori in Friuli-Venezia Giulia (6,8) e Basilicata (6,6), le più virtuose Lombardia (3,6) e Valle d’Aosta (0,8).
Non è solo una tragica contabilità di vite spezzate, ma anche di persone sopravvissute con conseguenze che le accompagneranno per tutta l’esistenza.
È anche un costo sociale, stimato secondo i parametri Istat e Aci, in 16,4 miliardi di euro, lo 0,9% del Pil nazionale.
La Commissione europea, in avvicinamento allo «zero vittime» del 2050, ha fissato il prossimo obiettivo decennale nel dimezzamento dei morti entro il 2030, recepito dal Piano nazionale per la sicurezza nazionale.
«Purtroppo siamo ben lontani. Ma è una scommessa, uno stimolo per prendere decisioni più efficaci a livello politico — osserva il professor Studer del Politecnico di Milano —.
Gli incidenti stradali sono tra le prime cause di mortalità tra i ragazzi, è evidente che basta solo questo per dire che non si fa ancora abbastanza.
Negli ultimi anni sicuramente sono stati compiuti progressi, ora manca il passo finale»”.
fonte "Il Corriere della Sera"