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Ricorre quest’anno il trentennale della istituzione della DIA, fortemente voluta da Giovanni Falcone per combattere più efficacemente le mafie in Italia.
Anche in Basilicata ci sono forti segnali di assedio da parte della criminalità organizzata, proveniente anche dalle Regioni confinanti, si tratta di dinamiche criminose messe più volte in evidenza dalla Magistratura, dalla Dia e dalla Commissione Antimafia.
Negli anni si e' passati da fenomeni latenti, presenti in limitati territori ed in alcuni gangli della Pubblica amministrazione, al controllo pervasivo dei territori e degli affari a partire dagli appalti del ciclo dell'energia, anche rinnovabile, al traffico dei rifiuti, alle forniture e ai servizi sanitari, allo spaccio di sostanze stupefacenti, alle estorsioni, al riciclaggio in edilizia, nella grande distribuzione e nella finta cooperazione, in settori del lavoro somministrato.
Nel tempo sono state affinate le tecniche di invadenza nei centri di spesa della Regione, degli Enti sub regionali, nella rete della spesa pubblica che in Basilicata, al netto di quella privata, si attesta attorno ai 21 miliardi annui.
Particolarmente ambito viene considerato il sistema della sanità pubblica e privata che al momento rappresenta quasi la metà del bilancio dell'ente Regione.
Molto interessato e' il settore delle fornitura dei prodotti e dei servizi fortemente allargato con il Covid19.
L'assenza di penetranti controlli nella tutela ambientale - nonostante alcuni importati esiti di inchieste - ha permesso che la voracità di pseudo imprenditori e gruppi illegali contigui, assumesse il controllo del ciclo dei rifiuti e degli inerti.
Azioni operative di contrasto al lavoro nero hanno fatto emergere anche il supporto di impiegati pubblici compiacenti, dato significativo del grado di contaminazione evidenziate anche in altri ambiti per le costanti violazioni amministrative e penali riscontrate e legate alla gestione del ciclo dei rifiuti, ai reati di natura ambientale, alla sicurezza alimentare e nei luoghi di lavoro.
La criminalità in Basilicata è pertanto ormai un fenomeno pervasivo che pare aver coinvolto molti settori del tessuto sociale, economico e amministrativo della regione.
La relazione della Dia inviata al ministero dell’Interno per il secondo semestre del 2020 tratteggia una regione a elevato rischio malavitoso. Quella che un tempo veniva derubricata a microcriminalità ha compiuto un salto di qualità, gestendo affari illeciti che in passato erano associati alla capacità organizzativa ed economica della criminalità organizzata storica, campana e calabrese e pugliese. Droga, prostituzione, gioco d’azzardo, caporalato ma anche riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti. Sono emerse addirittura situazioni in cui mediante l’uso di metodi mafiosi si sviluppa “un controllo monopolistico di attività imprenditoriali di rilievo centrale nell’economia locale (produzione e commercio di ortofrutta, turismo, attività edilizie,
principalmente)”, e situazioni in cui si condizionano finanche le Amministrazioni locali. In vertiginoso aumento, infatti a leggere la relazione, i reati inerenti alla indebita percezione dei finanziamenti pubblici.
È preoccupante che nelle province lucane continuino a verificarsi reati contro il patrimonio ed episodi di intimidazioni e minacce, sintomatico campanello d’allarme che non bisogna assolutamente sottovalutare ma raccogliere per rafforzare i presidi di sicurezza ambientale, sociale e amministrativa.
La politica, insieme ai corpi sociali, deve recuperare il ruolo di garante del cittadino attraverso una presenza massiccia nei luoghi più a rischio, allontanando figure e ombre che possano avvalorare il concetto che malaffare e politica si alimentino in funzione una dell’altra.
Bisogna rafforzare la presenza dello Stato anche per non lasciare soli la grandissima parte dei rappresentanti delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche, delle forze produttive che non vogliono accettare tale situazione.