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Lo scorso 25 Gennaio a Ferrandina la Provincia di Matera, i sindaci dei Comuni di Matera, Ferrandina, Pisticci, Pomarico, Miglionico, Grottole, Grassano, Salandra, Garaguso, Tricarico, Craco, il Consorzio industriale di Matera, le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil di Matera, gli esponenti di Confindustria, Confapi, CNA, CIA, Alleanze Cooperative, Confartigianato, Confimi, degli Ordini Professionali, dell’Associazione Zona Franca Urbana Matera, nonché (fiorellino all’occhiello) l’Associazione culturale “La Scaletta”, sottoscrivevano il documento d’intenti titolato “Tavolo Permanente della Valbasento”, finalizzato “al rilancio, allo sviluppo ed al monitoraggio della Zona industriale della Valbasento pianificata già negli anni ‘60 dal Consorzio Industriale della Provincia di Matera e che interessa i territori dei comuni di Garaguso, Salandra, Ferrandina, Pisticci, Pomarico, Miglionico, Grottole e Grassano”.
Titolo e oggetto dell’intesa programmatica è roba da grandi occasioni, visto che “La Valbasento è l’area industriale più vasta tra quelle pianificate e gestite dal Consorzio Industriale ed ha una estensione lorda di ha 4.205 mentre la superficie originaria fruibile, come rilevabile dal Piano Territoriale Consortile (PTC), è pari ad ha 555”.
Il taglio dell’approccio storicizza in continuità quello che viene definito, con malcelata nostalgia, un ambizioso quanto lodevole progetto del governo, alla fine degli anni ’50, che predisponeva un piano denominato “Industrializzazione per Poli”. I tre poli di Salandra, Ferrandina, Pisticci, da cui si attendeva la nascita di un indotto qualificato.
Senza un minimo accenno analitico alla portata e alle implicazioni profonde di una transizione da una società a vocazione essenzialmente agricola ad un’industrializzazione chimica forzata; senza un purchè minimo bilancio degli effetti economici, sociali, ambientali, provocati per lunghi decenni in un’area che nell’ultimo ventennio ha visto nascere e crescere, pur tra difficoltà ed ostacoli politici di ogni sorta, una sensibilità sanitaria ed ambientalista capace di far dialogare associazioni locali e regionali con le amministrazioni dell’area, ENI e LIQUICHIMICA vengono considerate nel documento programmatico alla stregua di indiscutibili eroiche figure del bene comune.
La chimica di base e derivata(Metanolo, Metilacrilato, Clorosoda, Cloruro di vinile-monomero (CVM), Fibre chimiche, acido solforico, non viene menzionata per il suo lascito di morti; di malati - in ogni famiglia – di cancro, di malattie cardiocircolatorie, di leucemia, ma solo per il tipo di lavorazioni che richiedevano importanti competenze sia nella realizzazione che nella gestione dei relativi impianti e per essere stata leva, in Valbasento, di competenze straordinarie che continuano a costituire il vero patrimonio immateriale dell’Area che hanno consentito la riconversione industriale delle aziende presenti quando le produzioni di chimica di base e derivate furono travolte da una crisi fisiologica in quanto le stesse produzioni, derivate prevalentemente dal petrolio, era assai più conveniente realizzarle a bocca di pozzo di estrazione.
La spiegazione della crisi di un intero settore, che in Valbasento causerà la drastica riduzione occupazionale da 8.000 unità alle attuali circa 3.000, viene addirittura considerata “fisiologica” perché man mano che si andavano esaurendo i pozzi di petrolio dell’area, la produzione non era più ritenuta conveniente. Roba da manuale di economia!
Prendendo per buona l’assertiva supposizione, allora gli Ogoni del delta del Niger, condannati da Eni e da Shell ad annegare nel petrolio, dovrebbero vantare la piena occupazione a vita!
Oggi in Valbasento il tessuto produttivo è frammentato, lungi dalla possibilità di poter ricomporre una filiera coerente ed univoca (Farmaceutico, Resine Epossidiche, Tessuto non tessuto, cordame industriale, servizi, produzione energetica, di vapore e gas tecnici), mentre tremendo e tristemente “coerente” è il lascito di un pesante inquinamento delle matrici ambientali, la compromissione delle falde acquifere, la conversione negativa di fatto dei terreni in “aree no food”.
Come hanno potuto, gli 11 sindaci dell’area, firmare senza batter ciglio, un documento unanime che valorizza ed orgogliosamente elogia tra le attività industriali il trattamento dei reflui rivenienti anche dall’estrazione petrolifera (acque di strato)?
Non molti anni sono passati dalle proteste di associazioni, cittadini, amministratori dei comuni dell’area, contro “Tecnoparco S.p.a” a Pisticci Scalo, società partecipata statale tramite il consorzio ASI, autorizzata dalla Regione Basilicata dal 2001 a sversare fino ad un milione e mezzo di tonnellate di reflui (non solo petroliferi) e veleni di ogni sorta provenienti da discariche e da aziende di altre Regioni e addirittura dall’estero. Dov’è finita la preoccupazione per salute, ambiente, democrazia? A cosa sono servite pubblicazioni di allarme sanitario pubblicate sui reports nazionali SENTIERI, convegni, conferenze, analisi, picchetti, denunzie? A parlare di ieri e di oggi resta il convitato di pietra, il silente fiume più lungo di Basilicata, il Basento, che muto trasporta ogni giorno nel balneabile Jonio gli effetti tossici del silenzio concordato, della minaccia di diffide e di multe a chi osa soltanto supporre, dati alla mano, che Tecnoparco potrebbe inquinare. Resta per residenti ed agricoltori il regalo prenatalizio del rinnovo dell’AIA a Tecnoparco per un’ulteriore dozzina di anni. Perché solo in pochi hanno fatto opposizione, chiedendo di poter disporre almeno di una Valutazione di Impatto Sanitario e di un'indagine epidemiologica sulla popolazione?
Il documento d’intenti firmato a Ferrandina parte da una disamina delle “fisches” sul tavolo, indicando un possibile percorso.
Partendo dall’inserimento del Polo Logistico della Valbasento nel documento programmatico della Commissione Europea “Priority 1 Multimodal Transport System” ed in virtù della funzione logistica legata alla litania della “retroportualità”, intesa come contiguità dell’hinterland lucano al porto di Taranto, l’orizzonte produttivo dell’area dovrebbe essere strategicamente legato all’inserimento del territorio lucano e della ZES Jonica nel c.d. Corridoio V – Scandinavo/Mediterraneo delle reti Ten–T.
A tale “destino”, ovviamente si fa l’elenco delle possibili convergenze finanziarie: la prevista destinazione di 630 milioni di Euro dai fondi PNRR in investimenti infrastrutturali considerati vitali per il collegamento delle ZES con le reti trans-europee (TEN-T); un’ulteriore somma di 1,2 miliardi di euro da destinare ad interventi da realizzare sui principali porti del Mezzogiorno. Qui c’è da dire che in mancanza di riferimenti normativi certi, i firmatari si affidano al porto delle nebbie, visto che i fondi devono essere ripartiti. La totale genericità del riferimento ci autorizza a pensare che trattasi delle implicazioni dell’art 8 (Misure per lo sviluppo della filiera relativa agli impianti eolici galleggianti in mare) del recente DL Energia, che tra l’altro, pena la sua decadenza, dev’essere ancora approvato e convertito in legge entro il prossimo 7 Febbraio.
Il resto è tutto un auspicio, una richiesta d’impegno, come nel caso del sollecito a monitorare la tempistica dell’iter autorizzativo, accelerando l’Accordo per lo Sviluppo e la Coesione tra Governo e Regione Basilicata, considerando la scheda progettuale, proposta dal Comune di Ferrandina e candidata dalla Regione Basilicata tra le opere strategiche a valere sui Fondi FSC 2021/2027.
Intervento di importo pari a € 25 milioni complessivi, che prevede la riattivazione, l’ammodernamento ed ampliamento delle aste principali e secondarie costituenti la rete ferroviaria dell’area industriale della Valbasento, individuata anche quale Zona Franca Doganale (ZFD), di recente approvazione da parte del Comitato di Indirizzo della Zes Jonica, snodo naturale di collegamento con il porto di Taranto e la rete ferroviaria della dorsale adriatica verso i mercati europei.
L’area di Ferrandina è quindi candidata a presidio di alta specializzazione per ricoprire il ruolo di corridoio costiero e retroportuale per le Autostrade del Mare: Bari e Brindisi per l’Est europeo con il trasporto ro-ro e ro-pax e Taranto porto per i traffici intercontinentali, con l’auspicio di migliorare enormemente la funzione di gateway dell’intero Hub Mediterraneo verso il Nord Italia e il Centro Europa da entrambi i versanti Tirrenico ed Adriatico.
Altro auspicio è l’obiettivo di dotare l’area industriale Valbasento di una adeguata infrastruttura ferroviaria che ne consenta il collegamento con la rete RFI.
Un orizzonte di infrastrutture e di logistica attende quindi la Valbasento. Più che di “reindustrializzazione”, si tratterebbe, stando al documento, di un tentativo di “governare” ed orientare le esistenti attività, con l’auspicio di poterne creare altre con gli incentivi della Zes Jonica che confluisce nella Zes Unica. Dalle variabili geopolitiche e geostrategiche dell’area alle variabili delle filiere di finanziamenti disponibili, vengono partorite, sempre nella logica dell’unanime auspicio, ulteriori linee guida (indirizzate a Regione, governo centrale e UE) che devono necessariamente orientarsi verso le seguenti direzioni, all’interno delle quali si evidenziano considerevoli criticità:
Il linguaggio ed i metodi utilizzati riecheggiano il “clima” politico/culturale degli anni ’60, ma senza il piglio pioneristico proprio dei democristiani doc dell’epoca e senza il fascino dell’avventura pseudo meridionalista. Adesso siamo a “un tanto al chilo”; si individuano i filoni di potenziali finanziamenti e chi se ne frega se siamo nel bel mezzo degli sconvolgimenti climatici; se le infrastrutture richieste si tradurranno in opere faraoniche a danno di falde acquifere, agricoltura e paesaggio!
Una sola domanda agli unanimi sottoscrittori: ma i cittadini dei vostri Comuni, i lavoratori dei vostri sindacati, sono tutti d’accordo?
Coordinamento No Triv Basilicata