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E' uscito "Poké melodrama", il primo album di inediti di Angelina Mango. Un lavoro che riassume le diverse anime musicali della cantautrice che in 14 canzoni dà sfogo a tutte le sue molteplici sfaccettature musicali: dall'urban a sonorità elettroniche, passando per melodie più pop per spingersi fino al rap e al drum and bass, Angelina mostra la sua versatilità e allo stesso tempo si racconta con alcuni testi personali come mai prima d'ora.
"Poké melodrama" è la perfetta fotografia di un talento poliedrico come quello di Angelina. Un album figlio di un lavoro di ricerca e di collaborazione, al quale hanno apportato il loro contributo diversi produttori, come Dardust, Edwyn Roberts, Alessandro La Cava, Shune, Andry the Hitmaker, Okgiorgio, Zef, Strage e Cripo. Ma le cui redini sono saldamente tenute da Angelina stessa, che ne curato la direzione artistica insieme ad Antonio Cirigliano (chitarrista e suo compagno) e Giovanni Pallotti (E.D.D.). Le stesse collaborazioni che arricchiscono alcuni dei brani sono indicative della varietà stilistica che caratterizza l'album: dal cantautorato con artisti del calibro di Marco Mengoni, fino ad arrivare a Bresh, passando per l’elettronica e l’urban con Dani Faiv e Villabanks. L'uscita del disco è stata anticipata dal singolo "melodrama", che con 242mila stream in 24 ore, ha registrato il miglior debutto solista femminile dell'anno (esclusi i brani sanremesi).
Partiamo dal titolo, "Pokè melodrama", dove vengono accostati due mondi completamente diversi.
Questo titolo mi piace perché ha più punti di vista da cui guardarlo. C'è quello serio, del melodramma, della poesia che diventa musica, che è un po' il modo in cui mi sono approcciata alla scrittura di questo disco. Però poi c'è anche il lato ironico, quindi il fatto che io sia una persona molto melodrammatica e disfattista e il fatto che questo disco sia un "poké", nel senso che è pieno di cose diverse che apparentemente magari c'entrano poco l'una con l'altra, ma che poi alla fine hanno senso e sono buone!
Qual è l'elemento che tiene insieme tutte queste cose diverse?
L'unico filo conduttore che posso trovare è forse è la mia ossessiva presenza in tutte le fasi di questo disco. Dalla scrittura ovviamente alla cura degli arrangiamenti, ai mix. Tutto questo nasce e si costruisce attorno a una cosa, che è l'emozione che provo nel momento in cui scrivo. Questo disco è come un diario segreto, quindi forse il filo conduttore è proprio la vita che ho fatto nell'ultimo anno.
A livello autoriale le canzoni hanno una storia molto diversa l'una dall'altra: ce ne sono alcune scritte da te e tuo fratello, altre a cui hanno lavorato diversi autori. Soprattutto quando sono in tanti a metterci mano qual è il tuo intervento in quel caso?
L'input. Tante volte mi capita di chiudermi e scrivere da sola come ho fatto su "Fila indiana", su "Smile" o "Una bella canzone": sono canzoni che nascono proprio da un'esigenza che basta a se stessa. A volte invece mi piace che ci sia qualcuno che può darmi uno stimolo diverso, al quale io magari non avevo pensato. Mi piace che le persone mi convincano a provare a fare delle cose che magari all'inizio pensavo di non riuscire a fare, questa è l'inclusione della musica. Non amo fare musica da sola, amo scrivere da sola quando ne ho l'esigenza, ma quando non succede così spontaneamente come per alcune canzoni mi piace che ci sia questo scambio, perché la musica non è altro che scambio.
Nell'album è inserita "Che t'o dico a fa'". Quando è uscita quasi un anno fa sembrava portarti in una direzione diversa rispetto a quella che avevi seguito fino a quel momento, presentando sonorità che si ritrovano in altri brani dell'album. Quella canzone è stato il punto di partenza per costruire "Pokè melodrama"?
In realtà ho scritto qualcosa prima di "Che t'o dico a fa'". La prima canzone del disco che ho scritto è stata "Crush". Poi è nata "Fila indiana". Però "Che t'o dico a fa'" era la cosa giusta in quel momento per me, perché era un compromesso. Uscire subito con una canzone come "Crush" o come "Fila indiana "sarebbe stato forse troppo. Mi piace che ci sia una continuità nel percorso, una consequenzialità tra una canzone e l'altra, anche se nella mia testa magari nasce prima una cosa o prima un'altra. E' importante portare le persone all'interno del proprio mondo e accompagnarle. Un po' come la scelta della track list e dell'ordine dei pezzi: c'è un motivo se "Gioielli di famiglia" è all'inizio e "Another World" alla fine. E' tutto un percorso.
"Gioielli di famiglia" è un modo importante di aprire il disco. Com'è nata e cosa vedi dentro quella canzone?
Quella canzone in effetti è nata a casa. C'era Antonio, il mio ragazzo, chitarrista, produttore che stava suonando e io ho scritto una parte di quella canzone. Dopo un po' di tempo ci siamo trovati in studio in una sessione con Michele Canova e ci siamo ricordati di questa cosa che era partita da Antonio. Abbiamo ripreso quella melodia di piano ed è nata "Gioielli di famiglia". Mi sono messa lì nel cortile da sola a scrivere chiedendo di lasciarmi stare perché sentivo che dovevo entrare nel profondo. E così sono nate le strofe. Credo che fosse necessario aprire il disco con qualcosa che gli altri conoscono già ma che ha un nuovo punto di vista, il mio.
Mentre finora il tuo punto di vista era mancato?
Non del tutto, però non ho mai sentito l'esigenza di entrare in alcuni argomenti, perché pensavo che se ne parlasse già. Poi ho capito che in realtà questa esigenza c'era, perché per parlare di me non posso non parlare di tutto quello che è la mia storia, perché questi geni di famiglia mi sono comunque rimasti impigliati addosso, fanno parte della mia personalità.
Nell'album ci sono alcuni feat e anche questi affondano in mondi musicali diversi. Come è nato quello con Marco Mengoni con cui canti "Uguale a me"?
Con lui c'è un rapporto molto umano e questo mi ha aiutato a entrare in empatia con lui anche a livello artistico, anche oltre alla stima che provavo nei suoi confronti. Spesso si stima tanto qualcuno, però serve comunque un feeling in studio per poter lavorare serve essere sulla stessa linea d'onda. E raccontare di persone che hanno le loro fragilità, che hanno i loro momenti matti, persone che magari mettono le loro fragilità sul palco e che alla fine più umane di così non potevano essere e quindi urlarsi addosso questa cosa con lui, è stata una grandissima esperienza e un regalo gigante che mi ha fatto.
Con Bresh canti invece "Diamoci una tregua".
Io pensavo di fare una canzone più urban in realtà, quando sono entrata in studio da Dibla. E invece siamo usciti con una chitarra e voce che abbiamo tra l'altro registrato in live, quindi simultaneamente. Quella canzone credo che sia il momento in cui ho capito che il mio vivere l'amore era una cosa matura, non era più una cosa adolescenziale o istintiva, ma è anche saper dire "hai ragione tu basta, va bene così".
In quest'ultimo anno, dal tuo ingresso ad "Amici", la tua vita è stata rivoluzionata: la vittoria nella sezione canto del talent, i successi estivi, la vittoria a Sanremo, poi l'Eurovision e ora il primo album. Come hai vissuto il crescendo di popolarità e il continuo alzare l'asticella delle sfide?
Se devo dire la verità, non pensavo, ma l'ho vissuto con estrema naturalezza. Quando ero bambina avevo questa sensazione di dover performare sempre. Non so da dove provenisse questa cosa, però vivere ora e performare sempre mi fa sentire come se fossi nel posto giusto. Per questo vivere queste cose, anche se sono giganti, l'ho sentita una cosa molto spontanea. E mi sono anche raccomandata come stessa di ridimensionare ogni volta, perché credo che sia importante.
Fonte tgcom24
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