Venerdì, 22 Novembre 2024

Di cosa parliamo, quando parliamo di Teatro dei Calanchi? Parliamo di un luogo suggestivo come pochi, parliamo della possibilità di viverlo in modo estremamente immersivo e non da fugaci turisti di passaggio; parliamo di un luogo che ha inscritta in sé l’antica regola dell’ospitalità, a cui riesce a tenere fede oltre le impervietà orografiche e climatiche.

Pieno successo per la prima edizione del Seppia Campionato. L'appuntamento sportivo promosso nelle acque del mar Jonio lucano ha fatto registrare la cifra monster di 57 equipaggi in gara, per oltre 170 persone coinvolte.

Il racconto della “giornata tipo” dei tecnici del monitoraggio nazionale del lupo.

Fonte www.isprambiente.gov.it

 

Un cartello sulla statale 69 ci indica l’ingresso in Basilicata.

L’altopiano delle Murge che da Gravina ci ha accompagnati, lentamente vira al bosco, le colline si fanno più pronunciate per diventare montagne e i colori sono quelli della selva intricata, fitta. Lucus appunto, bosco, è l’etimo latino di Lucania, terra dei boschi. Transitiamo per Oppido Lucano completamente deserta mentre la radio ci ricorda che un anno fa iniziava il primo lockdown italiano.

Al bivio per il lago di Acerenza inizia una sterrata e poco oltre ci incontriamo con i tecnici che hanno in gestione il monitoraggio in Basilicata: Remo Bartolomei il tecnico Federparchi responsabile di queste celle di monitoraggio, Fabio Quinto coinvolto dalla Regione Basilicata, e Gabriella Rizzardini, che avevamo incontrato ieri. La Regione ha fornito un importante contribuito al monitoraggio coinvolgendo due associazioni locali, NatureOffice APS e il Centro Studi Appennino Lucano, che hanno incaricato alcuni tecnici per i rilievi sul campo, tra cui in particolare Fabio e Andrea Cerverizzo. La giornata non è delle migliori ma, a dispetto delle previsioni, il tempo per ora non porta pioggia. Due giorni fa nevicava ma di bianco non c’è traccia. La diga del lago è in terra battuta e risale al 1984. Intercetta le acque del fiume Bradano all’estremità della fossa detta bradanica, una depressione che si frappone tra la Basilicata e la Puglia, una specie di zona di confine tra due “sistemi” completamente differenti e forse irriducibili: l’Appennino e l’altopiano delle Murge.

Mentre ci avviamo a piedi lungo il transetto di questa cella di monitoraggio intensivo, Remo ci racconta che collabora da anni con il Parco Nazionale del Pollino e il Parco Nazionale dell’Appennino Lucano. Tra le varie attività sta partecipando al progetto Life di conservazione del capovaccaio, coordinato da ISPRA, gestendo dei carnai. Nella rete di supporto che ogni tecnico crea per procedere con le attività sul campo, oltre al fondamentale coinvolgimento di 18 reparti dei Carabinieri forestali, ci sono le associazioni Cai e Aigae, tra i cui associati vi sono anche molte Guide ufficiali del Parco dell’Appennino Lucano.

Il monitoraggio nazionale è anche un gioco di suoni, inflessioni, parole e dialetti. Ogni volta che si cambia area, si percepiscono musicalità diverse, modi di sentire e di interpretare l’ironia completamente differenti. Questa biodiversità linguistica è un collage che descrive in modi sempre nuovi i contrappunti inaspettati del mondo in cui si muove il lupo.

Ci avviciniamo ad un punto di marcatura, cioè dove i lupi segnano il territorio con feci e urina. Sono luoghi vantaggiosi per posizionare le fototrappole e infatti Remo ci dice che nei filmati raccolti è riuscito ad avere le immagini di un branco di sei lupi. Il dato fornito da una fototrappola, all’interno del protocollo di monitoraggio, viene definito di “evidenza certa” (in quanto validata da un esperto). Ma una fototrappola restituisce tante immagini diverse, sia di animali selvatici sia di uomini. “Ci sono gli scout, che salutano e magari improvvisano un ballo, gli escursionisti che fanno cenni sorridenti, i cercatori di funghi che sono più discreti ed infine i cacciatori che sono un po’ più sospettosi e guardinghi” ci dice Remo. “Di fototrappole ne ho installate 11 e ogni volta che durante i miei sopralluoghi incontro qualcuno nei paraggi, gli spiego a cosa servono e l’importanza scientifica e ecologica del monitoraggio nazionale. Riuscire a coinvolgere e informare le persone su cosa sta avvenendo nel loro territorio è centrale per la riuscita delle nostre attività”.

Il lupo da animale opportunista segue i cacciatori. A volte, la notte, dopo una battuta di caccia, perlustra la zona in cerca di animali feriti. Ci affacciamo in una radura sul lago e nello sguardo d’insieme una volpe transita in un territorio scoperto in prossimità della riva.

Fabio è uno dei tecnici incaricati per conto della Regione Basilicata per seguire il monitoraggio e collabora sia con Remo che con Gabriella. Da anni si occupa di lupi ed è un fotografo naturalista, lo si capisce dall’obiettivo della sua macchina fotografica. Un tassello importante della rete di supporto al monitoraggio del lupo sono le regioni che, in alcuni casi, sono riuscite ad impiegare del personale nelle attività di campo.

 “Fotografare un lupo necessita conoscenza e pazienza. Per prima cosa bisogna comprendere bene il luogo di interesse e poi posizionare delle fototrappole per capire quali sono i punti di passaggio del branco”, racconta Fabio, “Questa attività preliminare può richiedere anche un anno, perché il lupo è elusivo e durante il giorno è raro riuscire ad avvistarlo nello stesso posto. Poi segue la fase di appostamento, che si ripete per ore in tante giornate differenti. Il luogo che si sceglie oltre ad avere una buona visuale deve essere mimetizzato alla vista e agli odori. Se si è fortunati nel giro di due tre mesi arriva la foto. Questo è il lavoro e la dedizione che sta dietro uno scatto riuscito”.

Mentre Paola Aragno, la coordinatrice del progetto, si informa sulla quantità di campioni raccolti, il terreno inizia a farsi decisamente fangoso. Orme tracciano sul terreno delle linee diritte, prive delle consuete divagazioni caratteristiche dei cani di grossa taglia. Finalmente troviamo una fatta che viene giudicata campionabile e allora Remo dallo zaino tira fuori il kit del “lupologo” sul campo: guanti, due provette piccole con il cotton fioc, una provetta grande per prelevare una parte di fatta, pinzette, forbici, accendino. Ogni tecnico ha un modo diverso di approcciarsi al prelievo, quindi ogni volta si apprezzano le strategie che ciascuno ha messo in atto. L’accendino serve per disinfettare le pinzette utilizzate per prelevare il campione. Non facendo così si rischierebbe di “mischiare” il materiale genetico con quello dei prelievi precedenti.  Fin quando non c’è vento, neve o pioggia, l’operazione risulta semplice, ma come la meteorologia si mette di traverso può diventare complesso tanto da spingere molti tecnici a prelevare con una bustina la fatta e poi “lavorarla” a casa. Alla fine i campioni sono messi in una bustina e riposti nello zaino.

La zona è impervia, ricca di uccelli e animali selvatici. Tra questi la lontra, che non è mai scomparsa da queste zone, a volte viene avvistata sulle sponde del lago. Troviamo delle grandi buche nel fango con dei resti di foglie succulenti verdi. Sono i cosiddetti “lampascioni” (Leopoldia comosa), una golosità per i cinghiali e gli umani, dal fiore dai tratti alieni di un blu oltremare.

La fine del transetto è su una strada sterrata che conduce al paese di San Giorgio. Il tempo di controllare un ultimo punto di marcatura e ritorniamo indietro con il cielo che inizia a minacciare pioggia e la chimera di raggiungere le macchine con la focaccia che anche oggi ci ha portato, da Matera, Gabriella.

Si ringrazia Fabio Quinto per la gentile concessione della foto

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