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Questa tappa della nostra storia, ci riporta indietro di decenni e ci ricorda un particolare evento invernale, a quei tempi molto atteso dalle nostre famiglie.
Avvenimento che si svolgeva prevalentemente all’interno delle nostre case e aveva come protagonista l’animale forse più …BBBBuono del mondo che, nonostante il macabro rito del suo supplizio, frutto di un beffardo destino cui per natura era soggetto, si otteneva dal suo corpo il dono di carne squisita e pregiata, dal significato straordinario che in pratica voleva dire salame, sopressate, sanguinaccio, ventresca, lardo, capocollo, prosciutto, sugna e tanto altro ben di Dio, per le famiglie che lo aveva allevato, per poi condannarlo a… morte.
Ovviamente, parliamo del “maiale”, mammifero conosciuto anche per la stazza che può raggiungere anche un paio di quintali. Ebbene, fino a qualche decennio fa – nei mesi invernali – la “festa” del maiale, appunto, si usava farla in casa, con tutta una speciale preparazione e un programma, che occupava diversi giorni e tutti i membri della famiglia.
Innanzitutto si sceglieva il “vucciero”, ovvero la persona specializzata nel colpire a morte e noi ne ricordiamo uno in particolare, Nunzio Forte che abitava al rione Tredici, che comunque bisognava prenotare in tempo. Il sig. Nunzio, persona simpatica soprattutto a noi ragazzi, era decisamente bravo a non far soffrire troppo il povero animale prima di morire, procedeva con il “misfatto”, cioè l’immobilizzazione prima del colpo mortale.
Il resto si svolgeva nella cosi detta “vazzatora”, grande recipiente in legno che si noleggiava, dove il corpo veniva adagiato, lavato (“splilato”) con acqua bollente, ripulito della peluria e quindi appeso al “jammiere” per essere sezionato in parti e lavorato in diversi modi.
Rito particolare, quindi, che proseguiva nei giorni successivi, con preparazione di sanguinaccio (brave le nostre mamme a prepararlo nei modi diversi, non escluso quello di conservarlo a lungo per migliori occasioni e senza… frigorifero) e della carne per confezionare ad arte salcicce, sopressate e altro, poi appese in alto, per la stagionatura, prima di passare al gusto.
E’ importante ricordare che il rito, comprendeva anche un motivo, prettamente “sociale”, che in pratica significava donare ai vicini di casa “a porzion”, un piatto con dentro costate di carne con pezzetti di fegato e polmone, il tutto in segno di rispetto tra famiglie del rione. Segnale a cui veniva data grande importanza, atteso il significato di amicizia con il vicinato e che, naturalmente, per l’occasione a tempo debito, veniva restituito.
Insomma, tutta una “grande festa”, grazie ad un altrettanto “grande” protagonista come il “re maiale”, attraverso un’ operazione che comunque impegnava diverse persone, per la buona riuscita dell’evento. Ma ne valeva la pena. Eccome!
Michele Selvaggi