Sabato, 16 Novembre 2024

“Diarium artis – La musa senza veli” di Maria Di Tursi: l'eterno ritorno di un Umanesimo che sfiora il Divino. Riflessioni di Raffaele Marra

Venerdì, 24 Giugno 2022

Molto spesso ci si lascia tentare dalla voglia di individuare un filo conduttore tra i vari aspetti del mondo che ci circonda, come se la mente di chiunque sentisse la necessità di razionalizzare l’Universo attraverso semplici regole che accomunino angoli apparentemente distanti della realtà. Lo si fa con gli eventi storici, con i luoghi della Terra, con i fatti di cronaca, con i volti dei conoscenti, con le date, con i numeri in genere. Scoprire una regola comune, un percorso razionale coerente, una logica inconfutabile a collegare varie sfaccettature della nostra complessità diventa un’esperienza gratificante e rassicurante al tempo stesso.

“Diarium Artis – La musa senza veli” (Il Convivio Editore, 2022), animato dall’ambiziosa energia della sua autrice, ha il coraggio di ricercare il filo conduttore dell’evoluzione stessa dell’animo umano nelle sue espressioni più magnifiche così come si sono succedute nei secoli: le opere d’arte, di ogni arte, di ogni tempo.

Che Maria Di Tursi tendesse a creare un viaggio di tale portata lo si poteva intuire già dalla lettura delle sue opere precedenti. Già in “La tigre e il gabbiano” si evidenziava indiscutibilmente una pulsione viva e irrefrenabile a collegare le meraviglie dell’Universo sia in senso topologico- geografico che in senso storico-temporale.

Eppure Diarium Artis è in grado di superare anche le più coraggiose ed entusiastiche attese!

In esso si definisce (o si conferma, poiché, a ben vedere, talune idee sono essenzialmente eterne) un affascinante concetto di Umanesimo.

Il vero Umanesimo, una nuova (o forse, ripeto, ancestrale perché comunque eterna) rivoluzione copernicana in cui il fulcro è l’umanità stessa, intesa nella più nobile delle accezioni: l’uomo incompleto che si eleva dalla propria imperfezione per ribadire al mondo la bellezza dell’”IO”, fonte di salvezza per sé e quindi per l’intero Universo. L’uomo è il fulcro di appoggio di una leva in grado di sollevare il mondo, perché è questo che fa l’arte, qualunque sia la sua forma, la sua sostanza, il suo linguaggio o il suo destinatario esplicito o celato che sia: l’arte è sempre e comunque uno sguardo che dal fango, dalla polvere, dal sangue, dalle lacrime, si eleva all’Infinito. E così la Musa senza veli ha l’ardire di percorrere i secoli saltando di epoca in epoca, di vita in vita, di imperfezione in imperfezione, concedendosi, saggia e maliziosa come sa essere, alle menti che anelano a essa per riemergere, che in essa cercano il senso e la voce di tutto. In tal modo Diarium Artis diventa per il lettore un’esperienza di viaggio splendida, avvincente, seducente.

Sono tutti lì, i figli o forse gli amanti della Musa, che sembrano nati per attenderne il passaggio affinché ancora una volta il Mondo abbia il suo premio di arte e meraviglia. Li incontri durante la lettura, capitolo dopo capitolo, scena dopo scena, e si rivelano discretamente attraverso la loro opera nel momento esatto in cui essa nasce proprio grazie al passaggio di questa divinità misteriosa che porta al tempo stesso la regola ferrea e razionale dell'arte e l'impeto sconvolgente e incontrollabile dell'emozione. Allora la lettura ti consente di fare chiarezza, di riconoscere opera e autore, e ti viene da sorridere commosso, in attesa di voltare pagina e scoprire chi sarà il nuovo imperfetto a cui la Musa donerà un altro frammento di Eternità.

Così la lettura procede vogliosa, animata dalla continua esigenza di rinnovare a ogni capitolo quello che si propone come un rituale gratificante fatto di storie che sfociano nel capolavoro, di imperfezioni che sfiorano la meraviglia, di uomini che diventano divinità.

E quando si smette di leggere, a cose compiute, viene voglia di ritornare indietro esattamente come si vorrebbe tornare a osservare un quadro di Van Gogh, a rileggere un verso di Shakespeare o a riascoltare un brano di Franco Battiato.

Voglia di rifare cose belle, potrei dire, di rivivere il salto dalla polvere alle stelle per sentire nuovamente, e per mille volte ancora, la vertigine di volare improvvisamente verso quote altissime. Perché, in fondo, il filo conduttore di tutto non è altro che la semplice umana voglia di riprovare a essere felici.

Raffaele Marra

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