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Un sostantivo e un attributo pesanti il titolo di questo libro, che richiamano l'aria de "Il gattopardo", solo che qui sono l'affresco di un piccolo paese lucano e di piccola nobiltà di provincia.
In questo primo romanzo di Amalia Marmo, che si avvale della "Nota introduttiva" di R.Nigro, e della Prefazione di F.Trifuoggi, emerge la Lucania/Basilicata di C.Levi e R.Scotellaro, povera ma dignitosa, basata su valori e rapporti umani gerarchizzati, sì, ma accettati e vissuti senza boria, sulla religione (che diventa religiosità) semplice, intrisa e unita a magia, paganesimo e a pietàs popolare.
La prima parte del libro, alquanto autobiografica, è il ritorno all'infanzia e alla fanciullezza, il rifugio nel mondo incantato, colorato e trasferito dalla dimensione reale a quella della rievocazione, che attinge al sogno e, per la sua levità, alla poesia: Amalia Marmo, prima di quest'opera in prosa, ha pubblicato alcune belle e pregnanti raccolte poetiche. La seconda parte subentra alla prima e vi si inserisce in un felicissimo intreccio concettuale, psicologico, narrativo e linguistico.
Lo svolgimento del racconto è reso interessante dal quasi colpo di scena di pag 88, che, prepara l'abbrivio al disvelamento, alla catarsi finale ed alla spiazzante conclusione del romanzo. Sagace, riuscito, invisibile, ma diffuso e percepito in ogni pagina il lavoro di creazione-rievocazione di personaggi e tipi, fatti realmente accaduti e avvolti nel sogno e nel ricordo. Centrale, ieratica e matriarcale è la figura di nonna Amelia, di cui l'Autrice porta il nome con non dissimulato orgoglio, depositaria di valori e ricordi, fonte dell'immaginario e della vena creativa della "nostra" Amalia. Il personaggio della nonna e l'atmosfera creata dal e nel palazzo di famiglia richiamano la figura fiabesca ed onirica di Ursula, la nonna di "Cent'anni di solitudine". Scolpito nella pietra, ostinato il carattere del nonno cui si contrappone quello altrettanto duro di Angiolina. Insieme ai personaggi principali non mancano macchiette, " u scettabanne"(il banditore), le servette, le prèfiche ai funerali, che rendono sapida e variegata la storia, che attinge a piene mani nell'antropologia lucana e meridionale. Provenendo dalla poesia, lo stile della Scrittrice di Miglionico(MT) non può che essere elegante, connotato da levità ed apparentemente semplice, frutto di solida cultura classica e sapiente labor limae.
Tante le descrizioni e le divagazioni, apparentemente fuori contesto, che concorrono a creare un clima particolare ed un'atmosfera rievocativa e al tempo stesso realistica. Le poche figure retoriche ingentiliscono il periodo, ben costruito, che scorre fluido con una paratassi ed un ritmo disteso, consono alla narrazione rievocativa e d'atmosfera. Alcune pagine di considerazioni, riflessive ed introspettive, fanno pensare allo stile di certi autori classici russi, a J.Joyce e I.Svevo, ma, nonostante ciò ed il proprio ricco humus culturale cui attinge, possiamo dire che la Nostra con questo suo primo romanzo ha creato uno stile suo, personale, originale: lo stile di Amalia Marmo.
Antonio Rondinelli - Docente di lettere e critico lettetario