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La crisi idrica, a causa degli invasi sempre più a secco, da qualche mese tocca diverse regioni italiane tra cui la Sicilia, e per quel che ci riguarda, anche la Provincia di Potenza, alle prese con un serio razionamento dell’acqua potabile, soprattutto nelle ore notturne.
Per fortuna la nostra provincia non risente ancora di questa criticità e vogliamo augurarci che il problema, per tutti, venga risolto con le piogge autunnali e invernali e che il tutto ritorni alla normalità.
Argomento, quello della crisi idrica potabile, che spesso ritorna nella nostra storia e la cosa ci riporta a circa un secolo fa, quando Pisticci si dissetava solo attraverso fonti naturali del territorio come la fontana di Rupe sottostante l’ex mattatoio comunale, Sant’Anna, lungo la provinciale per Pozzitello o quelle di Cannile e Ficagnole sull’altro versante del territorio, o attraverso i numerosi pozzi d’acqua e cisterne della zona.
Il problema venne risolto nei primi anni 30 con la realizzazione del grande serbatoio idrico di Terravecchia e se la Galleria San Rocco rappresenta la più grande opera realizzata nel dopoguerra, la costruzione, appunto, del grande contenitore idrico, è quella maggiormente rappresentativa a Pisticci centro negli anni 30, in pieno regime del ventennio. Un’opera parecchio attesa dalla nostra gente, in tempi difficilissimi in cui il liquido più prezioso si consumava per uno stretto e mirato bisogno, proprio per carenza di fonti naturali, tutte più o meno distanti dalla città, con difficoltà nel raggiungerle a piedi, con traini, carrozze e animali da soma, ma anche per il trasporto con botti, barili, brocche, damigiane e altro. Disagio enorme quindi per le genti dell’epoca che invocavano la realizzazione di un serbatoio idrico.
Non sappiamo quale fu, per l’occasione, il ruolo dei politici dell’epoca, da Antonio Pelazzi (sindaco dal 1923 al 1927 e podestà fino all’11 settembre del 1931) ad altri gerarchi locali come il notaio Giambattista Lazazzera (che fu anche podestà negli anni 1939 e 1940) e Domenico Di Grottole (podestà dal 1933 al 1937), ma sicuramente non mancò il loro impegno per riuscire a far progettare, finanziare e realizzare un serbatoio idrico nella parte più alta dell’abitato, la Terravecchia, come da tempo si reclamava. A loro sicuramente andò il riconoscimento della gente per una conquista di vitale importanza per la nostra città, che metteva fine ad un disagio ultra secolare. Purtroppo non si hanno notizie precise sulla realizzazione dell’opera - edificata con la demolizione di parte del castello adiacente - ma da quelle raccolte, la cosa avvenne intorno e tra gli anni 30 e 34 (testimone, una targa in marmo sulla struttura, che riporta in modo sbiadito la indicazione “XII”, cioè 12° anno dell’era fascista e quindi 1934 come anno terminale dei lavori). A realizzarla, la Impresa ALANARI di Ravenna, diretta da tale Ing. Carlo Perrini, Direttore del cantiere. Tecnico abile e di grande ingegno, in Terravecchia conosciuta come persona gentile e disponibile, motociclista provetto e spericolato che viaggiava a bordo di una moto di grossa cilindrata. Con la impresa Alanari, lavorarono anche altre ditte del posto. In particolare, la grande opera cilindrica di piacevole architettura, del diametro di circa 25 metri, si compone di tre nuclei strutturali. Il centrale e più importante, alto ben 35 metri e una parte interrata di oltre 20 metri. Nell’una e nell’altra, due grandi vasche di alimentazione. L’altro nucleo, di uguale forma, alto solo una decina di metri ed anche sede di vasca di raccolta. Con il serbatoio (che attingeva acqua dall’allora Acquedotto dell’Agri), fu costruita una rete idrica cittadina e diverse fontane pubbliche tra cui la monumentale di piazza S. Antonio Abate, quelle di Largo S. Marco e piazzale Chiesa Madre in Terravecchia, 2 nel rione Dirupo, le altre di Piazza S. Rocco, via Regina Elena, Rinaldi, inizio C. Metaponto e a S. Giovanni.
Per tanti anni, ricordiamo, responsabile dei servizi di distribuzione idrica, il sig. Salvatore Quinto, padre del Generale in pensione dell’Esercito, Berardino.
Il nostro racconto, si riferisce a fatti di circa un secolo fa. E’ probabile quindi, qualche imperfezione e della cosa ce ne scusiamo. E’ importante però, aver fatto rivivere un pezzo della nostra storia con tutte le difficoltà dell’epoca per la nostra città, che fu salvata dalla “grande sete” grazie ad un’opera utile e monumentale, tuttora ammirata.
Michele Selvaggi