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Gli utenti del consorzio di bonifica (ente regionale di tipo privatistico di fatto commissariato in barba a tutti i principi di democrazia rappresentativa) da tempo immemore lamentano le insostenibili imposizioni e la politica vessatoria esercitata dall’ente su migliaia di produttori agricoli; infatti ogni utente paga annualmente, oltre il consumo effettivo dell’acqua, un tributo fisso meglio conosciuto come il famigerato 660 in relazione alla qualità e classe del terreno.
Ad esempio i terreni della bassa pianura metapontina sono soggetti ad una imposizione fissa fino a 170 euro per ettaro. Le aziende degli altori del metapontino (site a monte della ss106, Bernalda-Pisticci-Scanzano…..) comprese quelle con terreni demaniali ad uso civico sono soggette ad un imposizione non inferiore ai 70/80 euro per ettaro. Parliamo ovviamente di terreni irrigui con strutture consortili condotte ecc....
In sostanza il consorzio di bonifica per regolamento approvato dalla Regione ritiene che il 660 sia il compenso che spetta all’ente per coprire le spese sostenute per attività di bonifica e manutenzione della rete irrigua sulla proprietà. Se confrontiamo tali canoni fissi a quelli di altri consorzi di bonifica d’Italia e in modo particolare a quelli di Emilia Romagna e Veneto emerge una differenza notevole: addirittura pari al doppio di quest’ultime. In molti casi l’imposizione grava anche sull’utenza che non usufruisce del servizio o non è proprietaria dei terreni come nel caso del Comune di Pisticci che viene colpito annualmente da un imposizione consortile calcolata pari a 80.000 euro circa senza che insista il fondamentale presupposto della proprietà così come previsto dalla legge e dalle varie sentenze in cassazione.
In altri termini vi è carenza di qualità e quantità del servizio, il che di fatto smentisce e nega il diritto della fruizione di un servizio a fronte di un imposizione la cui responsabilità e solo e unicamente del consorzio di bonifica avallata dalla Regione Basilicata. l’utenza ritiene che sia giunto il momento di porre fine a questi abusi rivedendo la politica impositiva e vessatoria del consorzio anche alla luce della crisi che vive il mondo agricolo, la quale va man mano accentuandosi non solo per insostenibili aumenti dei prezzi dei mezzi tecnici, ma anche per il crollo dei prezzi di vendita in azienda dei prodotti agroalimentari à; il crollo del prezzo del grano ne è la riprova.
Si chiede pertanto che la gestione del consorzio, come per legge, venga restituito a chi di diritto, cioè agli utenti e ai comuni.