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Il sequestro dell'area ex Daramic nella zona industriale di Tito, eseguito da NOE e Polizia provinciale a seguito di inchiesta della Procura di Potenza, fa balzare clamorosamente agli onori della cronaca una vicenda purtroppo ben nota e per molti aspetti paradossale.
"Infatti- dichiara Antonio Lanorte, Presidente di Legambiente Basilicata - non è certo un mistero per nessuno la presenza da circa un ventennio nelle acque di falda dell'area industriale di Tito, di elevate concentrazioni di tricloroetilene e suoi derivati, originate dagli sversamenti di tale inquinante dell'azienda Daramic, poi fallita, che produceva separatori in plastica per batterie".
"Per risanare l'area - aggiunge Lanorte - a fine 2017 furono avviati interventi di bonifica consistenti nella stimolazione di processi di biodegradazione in falda nella porzione del sito risultata
maggiormente impattata da solventi clorurati, attraverso l’iniezione, mediante un’apposita rete
di punti di iniezione fissi, di substrati organici fermentabili in grado di degradare gli inquinanti e rilasciare idrogeno in fase disciolta. Tuttavia gli effetti positivi di tale attività si sono via via nel tempo esauriti poiché, e qui sta il paradosso, mentre si effettuava la bonifica, il contaminante continuava (e continua) ad affluire dalla fonte (cioè dal sito ex-Daramic), rendendo di fatto inefficace l'intervento di bonifica messo in atto".
"Pertanto - continua Lanorte - l'intervento della Procura di Potenza ci auguriamo possa essere il punto di partenza per fare chiarezza su questa incresciosa vicenda al fine soprattutto di scongiurare conseguenze gravi ed irreversibili dal punto di vista ambientale e sanitario. Non si può perdere altro tempo quindi. La Regione Basilicata convochi un tavolo tecnico esteso a tutti i soggetti competenti, tra cui il Ministero dell'Ambiente, per mettere in campo risorse e soluzioni definitive che non possono attendere oltre".
Purtroppo, aggiungiamo, questa vicenda dimostra ancora che il tema delle bonifiche dei diversi siti inquinati permane un buco nero per la Basilicata. Lo stesso inquinamento della ex-Daramic rientra nella complessa vicenda della bonifica del Sito di Importanza Nazionale di Tito che insieme a quello della Val Basento, pur a fronte di notevoli e noti finanziamenti riconosciuti, sconta ritardi del tutto inammissibili.
E poi bisogna risolvere rapidamente le altre questioni aperte: dalla bonifica dei terreni e della falda acquifera contaminati da oltre un decennio nell'area dell'ex-Fenice di Melfi, a quella delle discariche ancora in infrazione da parte della Corte di Giustizia UE con in particolare il caso scabroso della discarica di Salandra; dal decommissioning e gestione dei rifiuti radioattivi e delle altre attività industriali all'Itrec di Rotondella, al risanamento ambientale delle aree inquinate dalle attività petrolifere dagli anni '90 del secolo scorso fino ai giorni nostri
Sul fronte delle bonifiche è necessario costruire un moderno sistema di monitoraggio, controllo e ripristino ambientale. E bisogna operare oltre la logica della “messa in sicurezza” per lavorare nella direzione di un rilancio economico delle aree interessate dalle attività di bonifica nell'ottica della Green Economy. Si tratta di superare in fretta le eredità industriali negative del passato restituendo ad usi legittimi i suoli consumati.